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Caso Biagi, aperta un’inchiesta per “omicidio per omissione”

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Marco BIAGILa Procura di Bologna ha riaperto l’inchiesta archiviata sui comportamenti omissivi di funzionari di Stato nella revoca della scorta al giuslavorista Marco Biagi, ucciso dalle Br il 19 marzo 2002. L’accusa è quella di è omicidio per omissione.

L’inchiesta è derivata anche da documenti sequestrati nell’inchiesta sul conto dell’ex ministro Scajola, tra cui la lettera di un politico vicino allo stesso Biagi, spedita al Viminale pochi giorni prima dell’attentato delle Br, per caldeggiare l’assegnazione della scorta. La lettera risulterebbe “vistata” da Scajola, che pure ha sempre sostenuto di non essere mai stato informato del reale pericolo per il giuslavorista bolognese.

 

L’omicidio per omissione è una ipotesi di reato più grave dell’omissione semplice, che sarebbe prescritta dopo 7 anni e mezzo (nel 2009). E’ prevista dal 2/o comma dell’art.40 codice penale: “Non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo”. In pratica il procuratore Roberto Alfonso e il sostituto Antonello Gustapane, titolari del fascicolo, ipotizzano che chi sapeva delle minacce a Biagi non fece quello che era in suo potere e dovere per porlo al riparo dai propositi eversivi delle nuove Br.

Si riapre così la vicenda dolorosa del giuslavorista e docente di diritto del lavoro, già consulente e consigliere di diversi ministeri con differenti governi italiani. La sera del 19 marzo 2002, poco dopo le 20, Biagi fu sorpreso da un commando brigatista sulla sua bicicletta nei pressi della sua abitazione di via Valdonica, a Bologna, città in cui era arrivato da Modena in treno.

Due terroristi a bordo di un motorino ed un terzo a piedi lo aspettano di fronte al portone della sua abitazione. I due brigatisti che si fanno incontro al professore, e che indossano caschi integrali, aprono il fuoco esplodendo sei colpi in rapida successione in direzione di Biagi, per poi allontanarsi molto velocemente. Alle 20:15, Biagi muore tra le braccia degli operatori del 118 che sono accorsi sul posto. L’arma utilizzata nell’azione, si scoprì dopo, risultò essere la stessa del delitto D’Antona.

Cinzia Banelli, terrorista pentita, raccontò che “se Marco Biagi avesse avuto la scorta non saremmo riusciti ad ucciderlo. Per noi due persone armate costituivano già un problema. Non eravamo abituati ai veri conflitti a fuoco. Avremmo dovuto fare più attenzione, osservare possibili cambiamenti nella situazione del professore. Dovevamo controllare che non fosse solo. Invece arrivò alla stazione di Bologna da solo”.

Della vicenda si tornò a parlare il 30 giugno 2002, quando alcuni media pubblicarono una chiacchierata tra l’allora ministro dell’Interno, Claudio Scajola, ed alcuni giornalisti che seguivano il ministro in visita ufficiale a Cipro. In quell’occasione l’allora titolare del Viminale dichiarò che Biagi era solo “un rompicoglioni che voleva il rinnovo del contratto di consulenza”. A causa delle polemiche suscitate da queste affermazioni, il 3 luglio 2002, Scajola rassegnò le sue dimissioni e al suo posto venne nominato Giuseppe Pisanu.


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